Caterina va in città è un esempio splendido della direzione presa dal cinema italiano negli ultimi anni, rappresentato principalmente dai morettiani e post-morettiani, dai Salvatores, dagli Ozpetek, dai Paolo Virzì, quest'ultimo splendido sceneggiatore e regista di questo film. Un cinema che cerca una originalità estrema, una freschezza non tanto dei contenuti quanto del modo di rappresentare la società in modo spesso superficialmente leggero ma che lascia sempre il suo segno nello spettatore.
Il film mi ha stupito in diversi momenti, in particolare quando mi sono scoperto a passare da una sensazione di parziale identificazione con quello che viene raccontato alla sensazione che il film volesse trasmettermi tutt'altro e anzi si staccasse progressivamente dalla realtà per rappresentare in modo forzato e velatamente surreale i temi su cui vuole far riflettere. I temi sono a conti fatti quelli a cui il cinema italiano succitato ci ha abituato: la disillusione dell'uomo adulto, l'amore e le crisi di coppia, l'adolescenza ed il rapporto genitori / figli, l'incolmabile divisione tra le varie realtà che convivono intorno a noi.
Un incredibile Sergio Castellitto e una meravigliosa (come sempre) Margherita Buy, mi ha colpito meno l'interpretazione di Alice Teghil (Caterina), sinceramente deludenti quelle di altri giovani (per esempio dell'interprete di Gianfilippo). Vengono a mio parere tralasciati alcuni punti, probabilmente volontariamente, che forse sarebbero stati importanti nell'economia del film e che mi hanno lasciato un pò incerto sul giudizio globale: ad esempio non si fa menzione del passaggio fisiologico tra pubertà ed adolescenza di Caterina.
Voto finale: indeciso tra 7,5 e 8. Da vedere.
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